Avvento 2025
Commento al Vangelo del giorno, preparato dai nostri giovani
Lunedì 15 dicembre
Dal Vangelo secondo Matteo
21, 23-27
In quel tempo, Gesù entrò nel tempio e, mentre insegnava, gli si avvicinarono i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo e dissero: «Con quale autorità fai queste cose? E chi ti ha dato questa autorità?».
Gesù rispose loro: «Anch’io vi farò una sola domanda. Se mi rispondete, anch’io vi dirò con quale autorità faccio questo. Il battesimo di Giovanni da dove veniva? Dal cielo o dagli uomini?».
Essi discutevano fra loro dicendo: «Se diciamo: “Dal cielo”, ci risponderà: “Perché allora non gli avete creduto?”. Se diciamo: “Dagli uomini”, abbiamo paura della folla, perché tutti considerano Giovanni un profeta».
Rispondendo a Gesù dissero: «Non lo sappiamo». Allora anch’egli disse loro: «Neanch’io vi dico con quale autorità faccio queste cose».
Uno degli aspetti su cui vorrei concentrarmi nel commento di oggi è il comportamento dei sommi sacerdoti e degli anziani del popolo.
Innanzitutto, si avvicinano per interrogare Gesù ma senza cercare un vero confronto; sperano in qualche modo di metterlo in difficoltà, di coglierlo in errore per poterlo poi accusare. Poi, interrogati a loro volta da Gesù, non cercano di rispondere ascoltando il loro cuore, parlando con sincerità; ricercano invece un modo per non rimanere “incastrati”, da un lato con Gesù, ammettendo quindi l’autorità di Giovanni Battista, dall’altra con il popolo, rischiando di creare malumori e, peggio, tumulti.
È interessante notare come il loro comportamento nei confronti di Gesù sia non vero, in qualche modo camuffato, alla ricerca non di un confronto/incontro ma di avere ragione. L’esito, per i sommi sacerdoti e gli anziani, è inconcludente: non hanno avuto ragione e non hanno neppure sfruttato quel possibile incontro sincero con Gesù.
Questo Vangelo non ci chiede di autocondannarci per le nostre mancanze, ma ci invita a metterci di fronte a Gesù senza pretese di aver ragione, con desiderio di vero confronto e pronti a metterci in discussione, lasciandoci stupire.
Domenica 14 dicembre
Dal Vangelo secondo Matteo
11, 2-11
In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».
Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”.
In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».
Nel Vangelo di questa domenica troviamo Giovanni Battista, che ha passato tutta la sua vita annunciando la venuta di Cristo, viveva nel deserto vestito solo di una pelle di cammello, mangiando cavallette e miele selvatico, ha visto lo Spirito Santo scendere su Gesù quando lo ha battezzato nel Giordano, l’ha chiamato “Agnello di Dio”… Eppure anche Giovanni, nel momento in cui è in difficoltà, messo in prigione da Erode, ha dei dubbi su Gesù.
“Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”
Quello che mi colpisce è come Giovanni, nella sua incertezza, va direttamente da Gesù per avere chiarezza; non si tiene i suoi dubbi nel cuore e non ne sparla con i suoi discepoli alle spalle. E Gesù non si offende dei suoi dubbi, ma risponde, con semplicità usando le parole del profeta Isaia che anche Giovanni conosce. Non solo non si offende, ma subito dopo conferma la missione che Giovanni ha compiuto fino ad allora chiamandolo Profeta, il suo messaggero, il più grande tra i nati da donna. Questo modo di fare di Gesù mi aiuta a capire che Lui conosce il mio cuore e anche quando ho dubbi, domande o sono in difficoltà posso parlare con Lui, chiedere senza paura di essere giudicata, penalizzata o punita.
È vero che non possiamo capire tutto di quello che succede nella nostra vita perché “le vie del Signore sono infinite”, ma da questo episodio mi sembra di intuire che il punto di farsi delle domande non sia avere delle risposte pronte e precise, ma sapere di avere Qualcuno a cui appoggiarmi e di cui mi posso fidare. E di Gesù mi posso sempre fidare!
Sabato 13 dicembre
Dal Vangelo secondo Matteo
17, 10-13
Mentre scendevano dal monte, i discepoli domandarono a Gesù: «Perché dunque gli scribi dicono che prima deve venire Elìa?». Ed egli rispose: «Sì, verrà Elìa e ristabilirà ogni cosa. Ma io vi dico: Elìa è già venuto e non l’hanno riconosciuto; anzi, hanno fatto di lui quello che hanno voluto. Così anche il Figlio dell’uomo dovrà soffrire per opera loro». Allora i discepoli compresero che egli parlava loro di Giovanni il Battista.
Allora i discepoli gli domandarono: “Perchè dunque gli scribi dicono che prima deve venire Elia?” Tutto l’Antico Testamento si conclude con l’attesa di Elia, e il cuore dei Vangeli ha il suo apice sotto la Croce quanto tutti i presenti attendono che venga Elia. Dietro questa attesa c’è la promessa che ciò che conta ha sempre qualcosa che ne prepara la strada e lo indica.Ma Gesù ricorda ad alta vooce che il destino di tutti i profeti è quello di non essere riconosciuti nel momento in cui parlano e profetizzano: “Elia è già venuto e… hanno fatto di lui quello che hanno voluto”. E’ un’amara verità: capiamo l’importanza di qualcosa o di qualcuno quando ormai è troppo tardi. Eppure, basterebbe essere più semplici, più umili, più pazienti e leali, per accorgerci che il Signore riempie la nostra vita di ciò che conta attraverso le cose più normali e meno evidenti di cui è fatta la nostra esistenza. Vorremmo sempre un effetto speciale, ma la verità è che chi cerca effetti speciali non si accorge di quanta bellezza c’è nelle cose semplici che ci circondano e che ci parlano senza gridare.
E’ la lezione che ci insegnano i pastori: in quella semplicità disarmante, essi sono capaci di compiere un altissimo gesto di fede: “prostratisi, lo adorarono”. L’Avvento sia il tempo in cui far pace con un Dio che non ha bisogno di attirare l’attenzione per venire al mondo, ma necessita di un cuore attento che sa scorgere nel deattglio l’essenziale che si sta cercando e che, trovatolo, riempie la vita fino a farla traboccare di gioia.
Venerdì 12 dicembre
Dal Vangelo secondo Matteo
11, 16-19
In quel tempo, Gesù disse alle folle: «A chi posso paragonare questa generazione? È simile a bambini che stanno seduti in piazza e, rivolti ai compagni, gridano: “Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non vi siete battuti il petto!”. È venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e dicono: “È indemoniato”. È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono: “Ecco, è un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori”. Ma la sapienza è stata riconosciuta giusta per le opere che essa compie».
A chi posso paragonare questa generazione? (Mt 11,16)
La risposta di Gesù arriva dritta al punto, pensando ad una scena molto comune all’epoca: dei bambini in piazza. Questi bambini, però, si “accusano” vicendevolmente, lamentandosi di non essere stati compresi dall’altro, portando come esempi quello che hanno fatto gli uni per gli altri: hanno cantato, hanno suonato, hanno dato agli altri la condivisione nella gioia e nel lutto. Ma lo fanno in modo strano: si lamentano da seduti. Sono come bambini senza la tipica vivacità che li dovrebbe caratterizzare. O meglio, una forza c’è: gridano. Ma il gridare è tipico di chi non sa più esprimersi, di chi non sa più dare spazio al dialogo. Forse che questa generazione dapprima abbia perso quanto di più importante? Che abbia perso la capacità di mettersi in dialogo con l’altro (e con l’Altro con la A maiuscola) senza portare finti trionfi o ricordi distanti, ma portando quanto di più importante, che è un cuore aperto e disposto a meravigliarsi ora e ancora? Che abbia perso il provare ad accogliere chi o cosa si ha davanti, senza prendere una posizione per partito preso? Dopotutto questo porta, fuori di parabola, a non riconoscere neanche più ciò che Dio ha fatto e fa.
Ma la buona notizia di oggi, credo, è questa: La sapienza è stata riconosciuta giusta. La sapienza, l’imperscrutabile modo di agire di Dio nella nostra quotidianità, è riconosciuta giusta. Magari ora con fatica, magari ora con più facilità. Sì, l’agire di Dio si mostra giusto, come quello di un padre e una madre amorevoli che, anche se non compresi, riconoscono di quanto ha veramente bisogno il proprio figlio, al di là dei capricci. Questo avvento sia per tutti noi questa possibilità, di tornare a meravigliarci nuovamente dell’operare di Dio nella nostra vita, di (ri)scoprirci ancora figli amati da un Dio che ci ha amato al punto tale da scendere sulla terra e camminare con noi.
Come disse papa Francesco: Il Signore ci ama al di là di ogni limite e difficoltà (Udienza del 08.11.2024).
Giovedì 11 dicembre
Dal Vangelo secondo Matteo
11, 11-15
In quel tempo, Gesù disse alle folle: «In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui. Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono. Tutti i Profeti e la Legge infatti hanno profetato fino a Giovanni. E, se volete comprendere, è lui quell’Elìa che deve venire. Chi ha orecchi, ascolti!».
In questo brano del vangelo troviamo un Gesù che spiega: gli viene chiesto infatti di dare lumi sulla figura di Giovanni il Battista. Chi è questo personaggio? In che modo ha a che vedere con Dio? Le domande sono tante. Anche nella nostra vita capitano spesso tante cose che non siamo in grado di capire: le pieghe che prendono certe relazioni, le delusioni, l’arrivo di qualcosa di inaspettato. Se ci pensiamo bene non sembra essere cambiato nulla tra oggi e duemila anni fa, come se quel dai tempi di Giovanni fino ad oggi si riferisse proprio al nostro tempo: i giudei non capiscono chi sia Giovanni e noi non capiamo ciò o chi Dio manda per la nostra vita. Sono tante le domande che facciamo a Dio e spesso non solo cerchiamo ma addirittura pretendiamo una risposta! La risposta che Gesù dà certo non è delle più semplici e si fa davvero fatica a capire che cosa ci voglia dire. Si parla di Regno di Dio, di violenza, di Elia, di profeti.
Personalmente la frase che mi colpisce di più è “chi ha orecchi ascolti”: se vogliamo accogliere veramente quello che Dio ha da donare alla nostra vita dobbiamo smetterla di farci domande, ma dobbiamo aprire le orecchie! Dobbiamo metterci in ascolto di Lui! Dobbiamo smetterla di parlare solo noi a Dio (Mt 6: Dio sa già ciò di cui abbiamo bisogno ancora prima che glielo chiediamo) e invece dobbiamo aprire le orecchie del cuore per accogliere i suoi doni. Gesù infatti dice: se lo volete accettare. Gli uomini del tempo hanno fatto fatica ad accettare Giovanni per la sua diversità rispetto agli altri, per il suo messaggio intransigente, deciso e fuori dagli schemi.
E noi vogliamo accettare quello che Dio offre alla nostra vita anche se molto spesso non corrisponde alle nostre aspettative? O vogliamo lasciarlo andare restando fissi e bloccati sulle nostre convinzioni? Il Vangelo di oggi ci dà due semplici istruzioni: saper ascoltare e accogliere.
Mercoledì 10 dicembre
Dal Vangelo secondo Matteo
11, 28-30
In quel tempo, Gesù disse: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».
Dio é gentile, in queste righe a me arriva con infinita tenerezza questa immagine. Un Dio papà che mi chiama a casa, disinfetta le mie ferite e i miei malumori e mi prepara la merenda. Un Dio che ama. Questo sguardo nasconde uno dei regali più belli che un padre possa fare ad un figlio: il dono della Speranza. Dio e il suo modo persistente ma delicato di amare rendono possibile una cosa tanto sconsiderata quanto vera: il fatto che ci possa essere una risposta creativa e sorprendente al mio dolore, al dolore che ognuno si porta dentro. Dio ti chiama per amarti profondamente così come sei e la cosa per me straordinaria è che Lui si accontenta di questo: di amarci, di offrirci ristoro. Non ci chiede di essere meglio di quello che siamo, ma questo Amore se lo accogliamo con libertà è addirittura in grado di rigenerare; di rigenerarci nel profondo, di addolcire il nostro cuore rendendoci migliori nell’amare gli altri e rendendoci capaci di accogliere i nostri dolori. Sarà così che respirando questo sguardo, un giorno, magari in un momento difficile, qualcuno riuscirà a scorgere in noi i lineamenti di Dio perché quel peso insieme a Lui è davvero un po’ più leggero e quel giogo è davvero un po’ più dolce.
Martedì 9 dicembre
Dal Vangelo secondo Matteo
18, 12-14
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Che cosa vi pare? Se un uomo ha cento pecore e una di loro si smarrisce, non lascerà le novantanove sui monti e andrà a cercare quella che si è smarrita? In verità io vi dico: se riesce a trovarla, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite. Così è volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda».
Il passo del Vangelo di oggi ci propone l’immagine di un pastore che possiede un gregge formato da cento pecore. Durante il cammino, però, una pecorella si smarrisce e il pastore, quindi, lascia sole le novantanove sui monti per cercare quella smarrita. La situazione è posta sotto forma di domanda, la cui risposta, se trasposta in una situazione vicina alla nostra realtà quotidiana in cui immaginiamo noi nei panni del pastore, potrebbe non corrispondere a quella che avrebbero potuto dare i discepoli allora; probabilmente per noi non sarebbe sensato lasciare incustodite le novantanove, per tornare indietro a cercare una sola pecorella, ma sarebbe più conveniente abbandonarla a se stessa e proseguire il cammino con le altre.
Il pastore di questa breve parabola si dimostra invece scrupoloso a contare le sue pecore una ad una, per lui nessuna è indifferente. In seguito al ritrovamento della pecorella smarrita, il pastore prova una grande gioia, e forse è quello che prova Gesù ogni volta che ci ritrova. Egli è il pastore attento che lascia fiduciosamente le novantanove per andare a cercare quella dispersa: il suo è un amore che attivamente viene a cercarci, e, una volta raggiunti, non ci rimprovera, ma si rallegra. Attraverso queste parole, Gesù ci fa comprendere che, in quanto figli di Dio, siamo amati con premura e cercati attentamente in caso ci perdessimo, e che abbiamo un valore unico che dona dignità alla nostra esistenza. Noi siamo quella pecorella ogni volta che siamo distratti da vicende che non nutrono pienamente la nostra anima, deviando o bloccando il nostro cammino. A ciascuno, poi, la libera scelta di seguirlo per tornare dalle altre pecore, consapevoli che la volontà di Dio, nostro Padre, è che nessuno di noi si perda lungo il cammino, ma stia al sicuro sotto la protezione del buon pastore, Gesù.
Lunedì 8 dicembre
Dal Vangelo secondo Luca
1, 26-38
In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù.
Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.
Maria, una ragazzina che accetta un progetto che la supera. Ci ha fatto riflettere come Maria, giovane, promessa sposa, con chissà quali progetti e sogni nel cuore, abbia saputo andare oltre i suoi progetti, oltre le sue attese, oltre ciò che era per lei prevedibile. Ha detto sì ad un progetto più grande. Non semplice, non immediato. Ma più grande. E colpisce che prima di dire “sì” attraversi un momento di turbamento. Quindi no, Dio non chiede la perfezione. Dio non desidera che non vacilliamo mai. O che siamo sempre pronti e che ci vada bene sempre tutto. Impariamo a benedire anche quei momenti di turbamento, di sconforto, di apparente mancanza di senso. Anche da quei momenti passano i nostri sì quotidiani, dove quello che non cambia è l’assidua e continua presenza di Dio che ci ama. Sempre. E anche con i nostri “sì”, non detti senza timore, ma che vengono dal cuore, ci apriamo al progetto che Dio ha pensato per noi. Che supera i nostri progetti. Fidandoci e aprendo la vita ad un mistero più grande, che molte volte non capiamo, siamo in grado di fare scelte che sanno uscire dai propri confini, di morire un po’ a noi stessi per amare gli altri, di non aspettare la perfezione del momento ma accogliere i piccoli momenti di eternità nella nostra vita limitata.
Maria ci ricorda che la pienezza non arriva in un istante, né coincide con i nostri piani ben organizzati. Nasce piuttosto da un cuore che si lascia sorprendere e che accetta di dire “sì” anche quando tutto sembra superare le proprie forze. E così la grazia trova spazio, trasforma i limiti, rende fecondo ciò che sembrava fragile. In lei riconosciamo la bellezza di un Dio che non cancella le nostre inquietudini, ma le attraversa con noi e, grazie al nostro sì, apre sentieri nuovi e fa grande la nostra vita. Nulla gli è impossibile.
Domenica 7 dicembre
Dal Vangelo secondo Matteo
3, 1-12
In quei giorni, venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!». Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaìa quando disse: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!».
E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico. Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.
Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione, e non crediate di poter dire dentro di voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».
“Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino”.
Giovanni Battista ci invita ad avvicinarci a Dio, ci invita ad entrare nella logica di Dio, nell’amore di Dio.
Chi vorrebbe sfuggire da questo regno in cui qualunque sia la tua situazione, i tuoi pensieri, i tuoi luoghi nascosti in cui hai difficoltà proprio lì c’è qualcuno che ci dice che il Signore ci è vicino e che ci ama? Dio è già presente nella nostra vita, siamo già nel suo regno e siamo suoi figli, questa è la bellezza di essere cristiani: riconoscerci come figli di Dio e lasciarsi amare da Lui.
Con il battesimo, che anche Giovanni il Battista celebra in questo vangelo, abbiamo ricevuto questo dono gratuito di amore, che non segue la logica del mondo in cui per ricevere bisogna dare qualcosa ma con questo sigillo si riceve senza dare perché il suo amore è incondizionato. Quando riconosciamo che siamo nel suo regno e che seguendo Lui possiamo vivere una vita piena ci chiede anche di portare dei frutti, frutti di conversione perché la nostra conversione, il nostro battesimo, non siano sterili e fini a se stessi ma che portino in noi un riconoscimento di questo passaggio, per noi stessi e anche per chi vive vicino a noi. Così siamo chiamati a rimanere in Cristo per portare frutto del suo amore.
Sabato 6 dicembre
Dal Vangelo secondo Matteo
9, 35-38. 10, 1.6-8
In quel tempo, Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità.
Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!».
Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità.
E li inviò ordinando loro: «Rivolgetevi alle pecore perdute della casa d’Israele. Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date».
In questo Vangelo, mi colpisce tantissimo il modo in cui Gesù guarda le persone. Dice che le vede “stanche e sfinite”, come pecore senza pastore. Anche guardando la società in cui viviamo spesso ci sentiamo persi, pieni di ansie, di aspettative e di pressioni. A volte mi sembra di vedere tanta gente che corre, ma senza sapere dove sta veramente andando. Compresa me. E solo in questi momenti, in cui mi perdo, e commetto degli sbagli per cui non so più dove andare, il pensiero che qualcuno mi guardi con compassione, non per giudicarmi ma per aiutarmi mi fa sentire capita davvero, mi fa sentire amata.
In seguito, Gesù è come se ci dicesse che nel mondo c’è bisogno di un enorme bene, di un bene continuo, di ascolto e di cura… ma spesso nessuno si mette in gioco davvero; e non serve essere supereroi ma persone normali, come i discepoli, ognuno con i propri difetti, con le proprie caratteristiche, che, se messe in gioco creano luce per le altre persone. Quando Gesù manda i dodici discepoli, gli affida cose grandissime come: guarire, liberare, ridare vita. Anche noi, ovviamente senza fare miracoli, possiamo guarire con parole gentili, liberare qualcuno dalla solitudine, ridare vita con gesti buoni e gratuiti. Perché ormai viviamo in un mondo in cui si misura tutto, ma forse il vero cambiamento nasce proprio da ciò che facciamo senza aspettarci nulla in cambio.
Venerdì 5 dicembre
Dal Vangelo secondo Matteo
9, 27-31
In quel tempo, mentre Gesù si allontanava, due ciechi lo seguirono gridando: «Figlio di Davide, abbi pietà di noi!».
Entrato in casa, i ciechi gli si avvicinarono e Gesù disse loro: «Credete che io possa fare questo?». Gli risposero: «Sì, o Signore!».
Allora toccò loro gli occhi e disse: «Avvenga per voi secondo la vostra fede». E si aprirono loro gli occhi.
Quindi Gesù li ammonì dicendo: «Badate che nessuno lo sappia!». Ma essi, appena usciti, ne diffusero la notizia in tutta quella regione.
Un dettaglio curioso apre il Vangelo di oggi: due ciechi inseguono Gesù. Ci potremmo chiedere come abbiano fatto, eppure forse è proprio in questa contraddizione la chiave di lettura: ci sono cose nella vita di cui abbiamo così tanto bisogno che poco importa che mezzi abbiamo per ottenerle, perché c’è qualcosa di nascosto, intimo e interiore in noi che sa muoversi anche al buio pur di trovare appagamento. Tra queste, sicuramente, la nostra sete di felicità, di senso, di pienezza nella vita. E’ così forte in noi questo desiderio di essere felici, che facciamo di tutto per ottenerlo. Forse, a volte, lo cerchiamo nel modo sbagliato. Questi due ciechi sono l’immagine di noi, quando ci mettiamo a cercare in modo giusto, il senso di tutto, nel buio della nostra vita. E quel senso è Gesù. E lui si fa trovare, lontano dal clamore delle folle. E’ bello questo: Gesù tiene alla nostra vita, a ciascuno di noi, e ci guarisce se lo vogliamo, anche se nessuno se ne accorgerà mai. A lui non interessa farsi pubblicità, interessa guarirci, interessa amarci.
Poi una domanda, che Gesù fa ai due ciechi: “credete che io possa fare questo?”. Gesù non vuole metterci alla prova, ma spesso quando compie un miracolo nel Vangelo chiede a chi ha di fronte se anzitutto crede che egli possa farlo. E’ una preziosa indicazione: la prima vera condizione di un cambiamento consiste nel credere che esso sia possibile.
Credere in Lui significa credere nell’impossibile che solo Dio sa compiere nella nostra vita limitata, dove guardiamo solo ai nostri limiti, alle nostre fatiche, alle nostre paranoie, alle nostre ferite. Dio è più grande, e dall’incontro con il suo amore che guarisce e risana, non può che nascere il desiderio di “diffonderne la notizia”. Nella preghiera chiediamo al Signore Gesù di poter fare esperienza concreta del suo amore misericordioso.
Giovedì 4 dicembre
Dal Vangelo secondo Matteo
7, 21.24-27
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia. Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e la sua rovina fu grande».
Questo Vangelo ci mette davanti a una domanda importante: la mia fede è fatta solo di parole o anche di scelte reali? Sto davvero facendo la volontà di Dio? Non ci parla di grandi imprese, ma di fondamenta: qualcosa che non si vede, ma che regge tutto il resto. In questo Avvento ci possiamo chiedere “Su cosa sto costruendo?”. Sull’ansia di fare tutto bene? Sulla ricerca di approvazione? Sull’apparire? Oppure sulla roccia di Dio, che mi ama e resta con me anche quando arrivano le tempeste? Questo tempo di attesa può essere l’occasione per consolidare le nostre fondamenta. Gesù oggi ci invita a costruire sulla roccia, cioè ad ascoltare la Sua Parola e soprattutto a metterla in pratica nella nostra vita. Si tratta di non limitarsi alle buone parole e ai buoni propositi, ma di allenarsi ogni giorno a scegliere il bene, l’amore, la volontà di Dio. Le piogge, le inondazioni e i venti arriveranno lo stesso nella nostra vita, ma se la nostra casa è fondata sulla roccia di Dio, allora resisterà ai momenti difficili e alle sofferenze. Il Vangelo, vissuto veramente, ci aiuterà a rimanere in piedi.
Mercoledì 3 dicembre
Dal Vangelo secondo Matteo
15,29-37
In quel tempo, Gesù giunse presso il mare di Galilea e, salito sul monte, lì si fermò. Attorno a lui si radunò molta folla, recando con sé zoppi, storpi, ciechi, sordi e molti altri malati; li deposero ai suoi piedi, ed egli li guarì, tanto che la folla era piena di stupore nel vedere i muti che parlavano, gli storpi guariti, gli zoppi che camminavano e i ciechi che vedevano. E lodava il Dio d’Israele. Allora Gesù chiamò a sé i suoi discepoli e disse: «Sento compassione per la folla. Ormai da tre giorni stanno con me e non hanno da mangiare. Non voglio rimandarli digiuni, perché non vengano meno lungo il cammino». E i discepoli gli dissero: «Come possiamo trovare in un deserto tanti pani da sfamare una folla così grande?».
Gesù domandò loro: «Quanti pani avete?». Dissero: «Sette, e pochi pesciolini». Dopo aver ordinato alla folla di sedersi per terra, prese i sette pani e i pesci, rese grazie, li spezzò e li dava ai discepoli, e i discepoli alla folla. Tutti mangiarono a sazietà. Portarono via i pezzi avanzati: sette sporte piene.
All’inizio del versetto 29, le folle portano ai piedi di Gesù “zoppi, ciechi, muti, storpi e molti altri”. Gesù guarisce tutti; non fa distinzioni: chiunque soffre è accolto. Chiunque si avvicina a Gesù può trovare guarigione, dignità e vita nuova. Matteo poi, riporta le parole di Gesù, che dice: “Ho compassione di questa folla… sono con me da tre giorni e non hanno da mangiare.” Questo è la prova che Lui non lascia “affamato” nessuno, non ti abbandona mai: se sei nel bisogno, Lui sarà il primo ad aiutarti, se lo vuoi. Anche se inizialmente i discepoli non sapevano come fare a trovare cibo in abbondanza per tutti, alla fine tutti mangiarono e furono saziati. Inoltre, Gesù non porta solo il “necessario”, ma cibo in abbondanza. Questo simboleggia un Dio che colma, che dona anche la Sua vita per te, che è disposto a stare sempre accanto a te e ad accoglierti sempre, anche se tu non lo vuoi. Lui è sempre lì, per aiutarti nel bisogno e per darti tutto quello che chiedi nella preghiera sincera.
Questo episodio così famoso del vangelo di Matteo, secondo me, ci invita ad avvicinarci a Gesù con le nostre ferite, come le folle, e fidarci della sua compassione e della sua bontà, anche quando ci sembra che ci manchi il necessario, che tutto stia andando male, o non ci sentiamo abbastanza. Fidiamoci di Lui, perché siamo tutti Suoi figli e vuole solo il meglio per noi.
Martedì 2 dicembre
Dal Vangelo secondo Luca Lc 10, 21-24
In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo».
E, rivolto ai discepoli, in disparte, disse: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono».
Ma sono capace di vedere tutta la bellezza che mi sta attorno? Sono capace di riconoscere la presenza di Dio in quella bellezza?
In questo vangelo Gesù dice: “Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete”. È un po’ come se mi riprendesse: mi chiama in causa e mi chiede se davvero sto vedendo la bellezza che si trova attorno a me ora.
Poco prima specifica anche che “queste cose” (forse la bellezza di cui parliamo? Il Vangelo non ce lo dice) sono rivelate ai piccoli, ma chi sono questi piccoli e come faccio io a farmi piccola perché anch’io possa vedere queste cose, perché possa vedere la bellezza che mi sta attorno?
Gesù in questo Vangelo parla dei piccoli in contrapposizione ai sapienti e ai dotti, quindi potrebbe essere che i piccoli siano coloro che non si perdono in cose astratte o pensieri filosofici ma che restano ancorati all’essenza delle cose; oppure forse potrebbe intendere i piccoli d’età, i bambini, coloro che hanno uno sguardo puro, incondizionato, coloro che spesso ci stupiscono per saper cogliere la realtà così com’è, coloro che sanno cogliere subito l’essenza delle cose; oppure Gesù con i piccoli intendeva i poveri, coloro che non hanno granché, ma non sono forse anche loro abituati a cogliere l’essenza delle cose e a farsela bastare?
Non so a che piccoli stesse facendo riferimento Gesù mentre parlava ma forse, in fondo, nascosto in quell’invito a cogliere la bellezza che ci circonda, ci sta chiedendo se siamo capaci di andare all’essenziale, a ciò che c’è davvero di importante in ogni situazione.
Lunedì 1 dicembre
Dal Vangelo secondo Matteo Mt 8, 5-11
In quel tempo, entrato Gesù in Cafàrnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava e diceva: «Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente». Gli disse: «Verrò e lo guarirò».
Ma il centurione rispose: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Pur essendo anch’io un subalterno, ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa».
Ascoltandolo, Gesù si meravigliò e disse a quelli che lo seguivano: «In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande! Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli».
Durante la lettura di questo brano, sono rimasta colpita per prima cosa dalla fede del centurione: sembrava quasi stesse parlando direttamente a me, che da qualche tempo mi interrogo sul perché non riesca a vedere tanti segni della presenza di Dio nella mia vita rispetto ad altri che mi circondano. Nel mio momento di dubbio, mi trovo davanti ad un soldato romano che chiede a Gesù una sola parola, per giunta a distanza, per la guarigione del suo servo malato. Infatti, è lui ad andare incontro al Signore e a scongiurarlo di aiutare; ciò che mi stupisce è il suo successivo rifiuto di portarlo a casa sua, poiché si ritiene indegno di lui. E questo avviene dopo che Gesù gli aveva già assicurato che avrebbe guarito il servo!
Per me, alla ricerca di segni, è rigenerante vedere un uomo che crede così tanto da volere una sola parola di Gesù, perché sa quanto questa sia potente.
D’altra parte, è affascinante vedere un Gesù che si meraviglia, lui che sa tutto, di questo atto di fede. Lo vedo come la soluzione per un Avvento più felice e sereno, ovvero di continuare a meravigliarsi di fronte alla vita, e avere il cuore aperto e pronto ad accogliere la bellezza che ci circonda.
In questo periodo di Attesa, chiedo per me stessa la fede del centurione, salda e forte nell’amore di Dio, e la capacità di Gesù di continuare a meravigliarmi. Ammetto che mi è sfuggito un sorriso quando ho letto che “una fede così grande”, mai vista prima in Israele, sia per il Signore quella professata da un centurione, un pagano, un ultimo che non dovrebbe saperne nulla di religione. Eppure, è proprio lui a colpire Gesù con la sua umiltà d’animo. Allora, in questo periodo di Avvento, invito me e tutta la nostra comunità ad essere umili e semplici nella nostra fede, poiché Dio non ci vuole perfetti, ci vuole e basta.
Domenica 30 novembre
Dal Vangelo secondo Matteo Mt. 24,37-44
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata.
Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».
